La metodica prevede l’irraggiamento con un fascio di elettroni soltanto dell’area del seno circostante a quella da cui è stata rimossa la massa tumorale, per circa tre minuti. Il suo scopo, come quello della tradizionale radioterapia esterna, è quello di ridurre il rischio di recidive locali.
Sebbene sia una tecnica piuttosto recente, la sua efficacia è stata dimostrata in numerosi studi.
Una ricerca condotta su oltre 1.300 donne e pubblicato sulla rivista The Lancet nel 2013 ha dimostrato le stesse percentuali di sopravvivenza nelle donne trattate con ELIOT e in quelle sottoposte a radioterapia esterna tradizionale.
Unica differenza la percentuale di recidive risultata lievemente più alta nel gruppo sottoposto a ELIOT. A parità di efficacia, la radioterapia intraoperatoria presenta però numerosi vantaggi rispetto a quella esterna. Innanzitutto, riduce l’esposizione a radiazioni di organi importanti come i polmoni e il cuore, oltre alla pelle, risultando quindi molto meno tossica.
Inoltre, la possibilità di effettuare il trattamento radiante in un’unica seduta contestualmente all’intervento chirurgico evita alla paziente il disagio fisico e psicologico (e l’impatto socio-economico) di un trattamento lungo. La radioterapia intraoperatoria, però, non può essere impiegata per tutti i casi di tumore al seno. Il suo utilizzo è limitato soprattutto ai tumori più piccoli (fino a 2-3 centimetri) e che non si siano estesi ai linfonodi.
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