
“Processo linguistico espressivo […] per cui un vocabolo o una locuzione sono usati per esprimere un concetto diverso da quello che normalmente esprimono”. È una delle possibili definizioni del termine metafora, una parola che deriva dai termini greci e latini che indicano il “trasferire”. Attraverso le metafore, le spighe di grano “ondeggiano” come se fossero le acque del mare e le foglie “danzano” leggere come ballerine.
Allo stesso modo, il cancro diventa spesso un “nemico” da combattere, il malato un “guerriero” e le cellule del tumore “invasori” che devono essere scacciati. L’uso delle metafore per descrivere il tumore e le diverse fasi del percorso di cura è estremamente comune, ma non sempre chi le utilizza si rende conto dell’impatto che questo strumento linguistico può avere sul paziente, i suoi familiari e la loro percezione della malattia.
Il cancro non è un’operazione militare
Il 23 dicembre 1971 l’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon dichiarò ufficialmente guerra al cancro firmando la famosa legge National Cancer Act, convinto che il cancro sarebbe stato “sconfitto” entro 5 anni. Da allora sono sempre più numerose le metafore belliche, ovvero che sfruttano il linguaggio militare, per parlare del tumore e di chi con il tumore ha a che fare quotidianamente.
Senza dubbio alcuni pazienti si sentono “guerrieri” che stanno “combattendo” contro un nemico, e queste metafore li aiutano a sentirsi forti e a portare avanti il processo di cura. Numerosi studi però sottolineano che usare un linguaggio militare potrebbe rivelarsi molto pericoloso e avere un impatto negativo su alcuni pazienti che potrebbero sentirsi “perdenti” o “colpevoli” se non riescono a sconfiggere un nemico tanto forte come il cancro. Inoltre, pensare a se stessi come guerrieri infaticabili può spingere a sottoporsi a trattamenti inutili nelle fasi più avanzate di malattia.
Dall’altro lato, sentire parlare continuamente del cancro come di una guerra può portare i pazienti a convincersi che non c’è nulla da fare, che il nemico è troppo forte e che di conseguenza, è inutile impegnarsi ogni giorno in una battaglia così dura. È il cosiddetto fatalismo del cancro.
Chi lo vive crede di non avere alcun controllo personale sulla malattia ed è convinto che qualunque cosa faccia, se è destino la malattia farà la sua strada. Inquadrare il cancro come una battaglia potrebbe anche indurre ad “arrendersi” al cancro, spingendo verso atteggiamenti più fatalisti anche nei confronti della prevenzione. Una cosa è certa: non si muore di cancro perché non si è stati abbastanza forti da vincere una guerra. Il tumore è una malattia estremamente complessa e non esiste la “pallottola magica” in grado di eliminarlo.
A ciascuno la propria metafora
Quella militare non è l’unica metafora possibile per descrivere il tumore. Ce ne sono altre che possono comunque aiutare a parlare della malattia, ma senza creare false speranze o atteggiamenti negativi nei pazienti e nei loro cari. Una tra queste è la metafora sportiva. Il percorso di cura è visto come una specie di gara, nella quale il paziente si trova coinvolto.
Anche in questo caso in realtà è sottinteso il concetto di vincitore e di perdente, ma rispetto alla guerra la competizione sportiva può essere meno aggressiva e può avere anche un’accezione positiva per molti, ovvero il mettersi in gioco e fare il proprio meglio, accettando che in alcuni casi “l’altra squadra” può essere più forte.
Che dire invece della metafora del viaggio? Forse questa, più di molte altre è adatta a descrivere il percorso di un malato oncologico, dalla diagnosi fino agli esami di follow up. La metafora del viaggio include numerosi concetti – anche positivi – che possono essere trasferiti all’esperienza del cancro, a partire dalla fatica che a volte si presenta anche nei viaggi più interessanti e che portano alla meta finale, che in alcuni casi può anche essere al di sotto delle aspettative inziali.
Indipendentemente dalla meta, la caratteristica principale di ogni viaggio è la scoperta: ci si confronta con realtà nuove, diverse da quelle alle quali si è abituati e non di rado da queste scoperte si impara molto.
Eliminare le metafore dai discorsi sul cancro è probabilmente impossibile, ma è sicuramente possibile fermarsi a riflettere sul potere delle parole e cercare di scegliere quelle giuste nelle diverse situazioni.
L’importanza dei cambi di registro
Non è detto che la metafora della guerra sia sempre sbagliata o da evitare. Vedere il tumore come un nemico da sconfiggere potrebbe per esempio aiutare i ricercatori e i medici a non mollare la presa e a continuare a impegnarsi per cercare strategie efficaci contro il cancro. Ciò che conta è capire che le stesse parole che possono motivare un ricercatore, potrebbero influenzare negativamente l’atteggiamento di un paziente. Ecco perché è importante usare registri diversi a seconda di chi si ha di fronte, ovvero modificare il proprio tono e i termini utilizzat: un conto è parlare da medico a medico, altra cosa è la comunicazione medico-paziente.