Il test del PSA è un esame di screening per il tumore alla prostata?

PSA test (prostate-specific antigen) concept. Doctor holding sample blood collection tube with PSA-Test label in lab.

Il test del PSA (Antigene Prostatico Specifico) è un esame del sangue utilizzato per misurare i livelli di una proteina prodotta dalla prostata. Negli anni, si è discusso ampiamente sul suo utilizzo come strumento di screening per il tumore alla prostata. In questa pagina, analizzeremo vantaggi e limiti dell’esame del PSA, e se questo sia considerato un test di screening efficace.

40.192

sono le nuove diagnosi di tumore alla prostata stimate nel 2024 in Italia.

8.200

sono i decessi stimati nel 2022 in Italia a causa del tumore alla prostata.

485.000

sono gli uomini che convivono con una precedente diagnosi di tumore alla prostata in Italia.

Cos'è il test del PSA

Il PSA è una proteina prodotta dalle cellule della ghiandola prostatica, con la funzione di mantenere fluido il liquido seminale dopo l'eiaculazione. In condizioni normali, il PSA è presente nel sangue in piccole quantità. Tuttavia alterazioni della prostata, come infezioni, iperplasia prostatica benigna o tumori, possono aumentare i livelli di PSA nel sangue. Il test PSA misura la concentrazione di questa proteina nel sangue attraverso un semplice prelievo ematico.

Benefici e limiti del test del PSA

Il test del PSA è un esame non invasivo che può rivelarsi utile per individuare precocemente eventuali anomalie della prostata, compresi tumori, anche prima che si manifestino sintomi clinici. Inoltre rappresenta uno strumento importante nel monitoraggio dei pazienti già trattati per carcinoma prostatico, consentendo di valutare l’efficacia delle terapie e di controllare l’andamento della malattia nel tempo.

Tuttavia, il test presenta alcuni limiti significativi. Uno dei principali problemi è la sua bassa specificità: i livelli di PSA possono risultare elevati non solo in presenza di un tumore, ma anche per cause benigne, come infiammazioni, iperplasia prostatica benigna o persino a seguito di attività fisiche intense. Questo può quindi portare a esami e trattamenti non necessari. Un altro limite è il rischio di sovradiagnosi: il test può identificare tumori a crescita molto lenta, che non avrebbero mai causato sintomi o conseguenze nella vita del paziente, determinando così interventi e terapie potenzialmente inutili, che però comportano ansia e stress, costi e possibili effetti collaterali.

Il PSA come strumento di screening

Secondo la letteratura scientifica oggi a disposizione, uno screening di popolazione per il tumore della prostata basato sul PSA potrebbe aumentare in maniera significativa la sopravvivenza per questa malattia. Sulla base di queste evidenze, nel 2022 la Commissione Europea ha raccomandato ai Paesi membri di introdurre uno screening che coinvolga gli uomini fino ai 70 anni, e che preveda il test del PSA seguito, in caso di positività, da una risonanza magnetica.


A partire da novembre 2024, Regione Lombardia (per prima in Italia) ha implementato un programma di screening gratuito rivolto agli uomini che compiono 50 anni (prevedendo di estenderlo negli anni successivi per allargare la fascia inclusa), ai quali viene proposto l’esame del PSA: in caso di risultato positivo si viene inviati a una visita urologica con esplorazione rettale, nel corso della quale lo specialista valuta l’eventuale necessità di ulteriori approfondimenti (come risonanza magnetica o biopsia).

L’estensione dello screening su tutto il territorio nazionale è però ancora al centro di discussioni. La bassa specificità del test del PSA, assieme alla presenza di tumori prostatici asintomatici e non aggressivi che, in assenza di esami, probabilmente non verrebbero mai scoperti nè avrebbero conseguenze per il paziente, potrebbero infatti portare alla prescrizione di accertamenti e terapie non necessari, con allungamento delle liste d’attesa, costi, ansie inutili e possibili effetti collaterali.

Ad oggi dunque non esistono ancora indicazioni definitive: il consiglio è quello di informarsi presso la propria ASL rispetto alla situazione aggiornata sul proprio territorio, e seguire le raccomandazioni del proprio urologo che, conoscendo la storia familiare e clinica, potrà fornire le indicazioni migliori a seconda del rischio personale.