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Il Nobel per la medicina agli studi sull'autofagia

Nobel per la medicina a Ohsumi, scopritore dell’autofagia. Un processo complesso che, quando non funziona, è associato allo sviluppo di diverse malattie

Immaginate un’intera città alle prese con lo sciopero della raccolta rifiuti. Bastano pochi giorni ed è il caos. Potrebbe essere questa l’immagine per descrivere il processo di autofagia, quel complesso meccanismo cellulare che porta all’eliminazione e al riciclo di molte componenti all’interno del nostro corpo. Quando essa non funziona ecco comparire numerose patologie. A chi ha fatto luce su questo meccanismo - il giapponese Yoshinori Ohsumi - è andato il Premio Nobel per la Medicina di quest’anno.

 

RIMUOVERE GLI SCARTI

Lisosomi: chi di voi non li ha studiati nel corso di biologia di base a scuola? Note sin dagli anni ’50, queste strutture cellulari non sono altro che degli involucri dove all’interno vengono degradati i principali prodotti di scarto della cellula. Ciò avviene quando queste strutture si fondono con gli autofagosomi, veri e propri agglomerati di «rifiuti» cellulari. Tale processo è finemente regolato da diversi geni. Merito dello scienziato giapponese è averli identificati decodificandone il funzionamento.

 

STUDIO NEL LIEVITO

Per chiarire il fine meccanismo alla base del processo di autofagia, Ohsumi utilizzò cellule di lievito. Attraverso una serie di esperimenti in cui venivano indotte delle mutazioni selettive in diversi geni, lo scienziato giapponese è riuscito nell’intento di indentificare 15 geni essenziali nel lievito nel processo di eliminazione e riciclo dei «rifiuti» cellulari. Geni le cui funzioni sono del tutto conservate anche nelle cellule animali. «Il processo di autofagia è determinante per la vita della cellula, dal momento che le permette di sopravvivere in condizioni di stress o di carenza dei nutrienti», afferma Maria Masucci, 63 anni da Rovigo, docente di virologia al Karoliska Institutet, membro della Commissione che assegna il Nobel e del Comitato Scientifico della Fondazione Umberto Veronesi. «Le molteplici applicazioni scoperte negli anni fanno dell'autofagia uno degli argomenti più interessanti nell'ambito della ricerca biomedica».

 

QUANDO NON FUNZIONA

Perché tutto questo interesse verso l’autofagia? La risposta è semplice ed è il principale motivo alla base dell’assegnazione del Nobel di quest’anno. Quando tutto funziona, l’autofagia in condizioni avverse garantisce alle cellule sia un rapido combustibile sia la materia prima - derivante dal riciclo degli scarti - per «costruire» nuove strutture. L’autofagia è inoltre fondamentale nella risposta all’attacco di agenti esterni, come batteri e virus. Senza di essa, la cellula sarebbe invasa da rifiuti. Quando per svariate ragioni il meccanismo è alterato, le cellule vanno incontro a diversi disturbi. Diversi studi indicano infatti che patologie quali Parkinson, diabete e cancro possono derivare anche dal mancato funzionamento di questo complesso apparato. Non solo, diverse malattie genetiche rare sono associate a mutazioni di quei geni che regolano il processo di autofagia. Non è un caso che ad oggi diversi gruppi di ricerca stiano sperimentando molecole in grado di interferire e ripristinare il corretto funzionamento di questa fondamentale funzione cellulare.

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