Pediatria

La voce della mamma aiuta lo sviluppo del cervello nei prematuri

Basta ascoltarla tre ore al giorno per migliorare la formazione dell’udito. Ricreare l’habitat intrauterino: si gioca qui la chiave dello sviluppo di questi neonati?

Chi nasce prematuro incorre più spesso in difficoltà nell’elaborazione del linguaggio e dell’udito. Le responsabilità vanno riconosciute nello sviluppo non ancora completo di alcune aree della corteccia cerebrale. Ma un aiuto potrebbe giungere proprio dalla voce della mamma.

 

LA VOCE DELLA MAMMA

Per correggere il deficit, un gruppo di ricercatori dell’Harvard Medical School di Boston ha compiuto un esperimento, registrando la voce di quaranta mamme che cantavano e il loro battito cardiaco. Esponendo i loro figli, tutti nati tra la venticinquesima e la trentaduesima settimana di gestazione, ai suoni registrati per un massimo di tre ore al giorno, i medici hanno riscontrato un effetto positivo sulla maturazione cerebrale. A documentarlo il confronto delle scansioni ottenute attraverso le ecografie dai bambini che avevano ricevuto questo trattamento e da un gruppo di controllo esposto soltanto ai rumori ambientali. Dopo trenta giorni di trattamento, i bambini che avevano ascoltato le voci delle loro madri avevano una corteccia uditiva più spessa rispetto a quella degli altri coetanei prematuri.

 

QUANDO SI FORMA L’UDITO

Anche se l’evidenza non dice nulla circa lo sviluppo futuro dei bambini, tra gli esperti circola un’opinione in maniera diffusa: «Più è ampia la corteccia uditiva, meglio è». Un feto inizia a percepire i suoni nel corso della ventiquattresima settimana di gestazione, quando i neuroni si assemblano a formare l’area della corteccia uditiva. Una volta che le connessioni si sono formate, il nascituro percepisce soprattutto suoni a bassa frequenza: come il battito cardiaco della madre, il ritmo e la melodia della sua voce. Sono state queste conoscenze a spingere i ricercatori a compiere l’esperimento. I risultati sono stati pubblicati su Proceedings of the National Academy of Sciences.

 

LA TERAPIA INTENSIVA COME CASA

«Oltre a essere bombardati con le luci, i suoni e gli odori tipici di un’unità di terapia intensiva neonatale, i prematuri sono spesso privati delle sensazioni percepite nel grembo», spiega Amir Lahav, neuroscienziato dell’Harvard Medichal Schoool di Boston. Anche se le madri - o i padri, nei primi giorni dopo il parto, se la donna è stata sottoposta la parto cesareo - possono entrare nei reparti di terapia intensiva in qualsiasi momento della giornata, il contatto con i bambini non è sempre frequente e risulta vincolato alle sue condizioni generali.

Nello studio i neonati erano tra i più a rischio. «Lo spartiacque si pone alla fine del settimo mese: chi nasce oltre la ventottesima settimana ha quasi la certezza di poter vivere in maniera del tutto normale», afferma Patrizio Fiorini, direttore del reparto di terapia intensiva neonatale dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze. Chi nasce prima, invece, è più a rischio: e non soltanto per l’udito. In questo caso, però, l’aiuto potrebbe essere in casa. Basta sentir cantare la propria mamma per tre al giorno per indirizzare lo sviluppo del cervello lungo la strada giusta.

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