Oncologia

Tumore del polmone: l'immunoterapia rivoluziona le cure

Cronicizzare il tumore al polmone non è più un obbiettivo irraggiungibile. L'immunoterapia diventa la strategia principale. I risultati dal congresso ASCO

Il tumore del polmone fa sempre meno paura e grazie all'utilizzo dell'immunoterapia come prima scelta di cura le persone riescono a vivere sempre più a lungo. Cronicizzare il cancro è possibile. E' questo uno dei principali messaggi che emerge dal congresso dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO) in corso a Chicago, il principale appuntamento mondiale dedicato alla lotta al cancro. 

IMMUNOTERAPIA: LA SVOLTA NEL TUMORE DEL POLMONE

Il tumore del polmone rappresenta al mondo la prima causa di morte per cancro. La maggior parte dei casi riguarda il tumore al polmone non a piccole cellule (NSCLC). Solo nel nostro Paese si verificano 42 mila casi all'anno. Sino al 2010 nessun farmaco era in grado di riuscire ad incidere in maniera significativa sull'aspettativa di vita dei malati. Nei casi in cui il tumore era già in fase avanzata, solo il 5,5% dei pazienti trattati con chemioterapia era vivo a 5 anni dalla diagnosi. «Nella maggior parte dei casi - spiega Marina Garassino, responsabile della Struttura Semplice di oncologia medica toraco-polmonare dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano - i pazienti non superavano l'anno». Una situazione di totale impotenza sbloccata grazie all'avvento dell'immunoterapia, quell'approccio che prevede la somministrazione di farmaci capaci di «risvegliare» il nostro sistema immunitario per riconoscere ed attaccare le cellule cancerose. 

COME FUNZIONA L'IMMUNOTERAPIA?

IMMUNOTERAPIA COME PRIMA SCELTA

A cambiare la storia del trattamento del NSCLC ci ha pensato pembrolizumab, una molecola che in passato si era già dimostrata particolarmente promettente nella cura del melanoma metastatico. Sperimentata nei malati di tumore al polmone a partire dal 2011 con lo studio KEYNOTE-001, ad ASCO sono stati presentati i dati a lungo termine relativi alla sopravvivenza. Le analisi hanno mostrato che nei casi in cui i malati esprimevano elevati livelli (50% e più) del marcatore PD-L1 (una proteina su cui agisce pembrolizumab) e non erano mai stati trattati con chemioterapia, nel 29,6% dei casi la persona era in vita a 5 anni dalla diagnosi. Ben un paziente su 3. Percentuale che scendeva al 25% nei casi in cui il malato era stato precedentemente trattato con altri approcci. «Risultati importanti - continua Garassino - che si aggiungo a quelli ottenuti lo scorso anno in cui il trattamento immunoterapico con pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia ha determina, in tutti pazienti indipendentemente dai livelli di PD-L1, un effetto sinergico antitumorale attraverso il potenziamento della risposta immunitaria verso il tumore».

CRONICIZZARE LA MALATTIA

La storia del trattamento del tumore al polmone è dunque a un bivio. Se sino al 2017 l'immunoterapia veniva utilizzata in seconda linea dopo la chemioterapia, oggi tutti i dati dicono che l'approccio immunoterapico deve essere la prima scelta per la cura del cancro ai polmoni (eccetto alcuni casi particolari in cui sono presenti mutazioni specifiche). Non è un caso che pembrolizumab, anche nel nostro Paese, oggi può essere utilizzato come prima scelta. «Siamo di fronte ad un cambiamento epocale per i nostri pazienti. Sempre più persone sono vive a lungo termine e l'obbiettivo di cronicizzazione della malattia è sempre più alla portata», conclude la specialista.

 

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