Oncologia

Tumore del polmone: l'immunoterapia è influenzata dal microbiota

Nelle persone con tumore al polmone trattate con immunoterapia, la presenza di Akkermansia muciniphila è un fattore predittivo della buona riuscita delle terapie

La composizione del microbiota, in particolare la presenza di Akkermansia muciniphila, può influenzare positivamente la risposta all'immunoterapia nel trattamento dei tumori del polmone. E' questo, in estrema sintesi, il messaggio che emerge da uno studio pubblicato dalla rivista Nature Medicine ad opera della dottoressa Lisa Derosa del Institute Gustave Roussy di Parigi.

 

MIGLIORARE L'AZIONE DELL'IMMUNOTERAPIA

L'immunoterapia ha rivoluzionato la cura di molte forme tumorali. Purtroppo però, ad oggi, non tutte le persone rispondono efficacemente a questa strategia. Per questa ragione da tempo la ricerca si sta dirigendo verso l'individuazione di nuovi approcci per aumentare la percentuale di chi risponde positivamente alle cure. Uno di questi potrebbe essere l'analisi del microbioma e la sua successiva modifica.

AKKERMANSIA MIGLIORA L'AZIONE DEI FARMACI

Allo scorso congresso ASCO, il più importante appuntamento mondiale dedicato all'oncologia clinica, fu presentato uno studio sull'importanza della composizione della flora batterica intestinale nel prevedere l'efficacia dei trattamenti immunoterapici. Ora, con la pubblicazione su Nature Medicine, si chiude il cerchio.  Realizzato nei pazienti con tumore del polmone in cura con l'immunoterapia, l'analisi ha dimostrato che la presenza di Akkermansia muciniphila correla con la buona riuscita delle terapie.

I RISULTATI

Lo studio ha coinvolto 338 pazienti con tumore del polmone (NSCLC) avanzato trattati con un inibitore del checkpoint immunitario in prima linea o in pazienti petrattati. Nel dettaglio la presenza di Akkermansia è stata riscontrata nelle feci del 39% dei pazienti prima dell’inizio del trattamento immunoterapico, mentre è risultata assente nel 61% dei casi. La sua presenza nelle feci è risultata associata ad una maggiore probabilità di risposta obiettiva con il trattamento immunoterapico, nonché ad una migliore sopravvivenza globale. In particolare è emerso che nel gruppo di pazienti che hanno ricevuto immunoterapia come trattamento di prima linea, la probabilità di sopravvivenza a 12 mesi è risultata pari al 59% nel gruppo di pazienti positivi a Akk, rispetto al 35% nel gruppo di pazienti che non l'avevano indipendentemente dall'espressione di PD-L1, il recettore su cui agisce l'immunoterapico.

 

LE PROSPETTIVE FUTURE

I risultati ottenuti dimostrano ancora una volta l'importanza della flora batterica quale indicatore per la buona riuscita delle terapie. Alla base dello stretto legame tra batteri e funzionamento dell'immunoterapia sembrerebbero esserci i metaboliti prodotti dai microrganismi, sostanze capaci di modulare positivamente il sistema immunitario. Poterli individuare e modificare a proprio piacimento la flora batterica potrebbe essere la giusta strategia per migliorare l'efficienza dei trattamenti immunoterapici. Non solo, se correntemente la possibile buona risposta alle terapie viene valutata analizzando l'espressione di PD-L1, in futuro l'analisi del microbiota potrebbe diventare un criterio predittivo nel trattamento con gli immunoterapici.

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