Una delle complicanze più comuni delle infezioni gravi da Covid-19 è il danno cardiaco. I pazienti ricoverati spesso presentano problemi a livello del cuore che possono persistere a distanza di mesi. Un danno a lungo termine che sembrerebbe dovuto ad un'alterata risposta del sistema immunitario. Il virus, danneggiando il nostro sistema di difesa, può innescare sul lungo periodo una reazione di auto-immunità contro il tessuto cardiaco. Ecco spiegata la persistenza del danno. I risultati, ad opera dei ricercatori dell'Istituto Clinico Humanitas e pubblicati su Circulation, sono stati possibili grazie al finanziamento della Fondazione Veronesi.
LONG-COVID E CUORE
«Le complicanze cardiovascolari sono frequenti nei pazienti guariti da Covid-19, soprattutto in chi ha sofferto di una forma grave dell’infezione – spiega il prof. Gianluigi Condorelli, direttore del Dipartimento Cardiovascolare di Humanitas e docente Humanitas University -. Gli studi ci dicono che la metà dei pazienti ricoverati per Covid-19 con alti livelli di troponina (un indicatore di danno al tessuto cardiaco) presentano anomalie nella risonanza magnetica cardiaca anche a 6 mesi dalla guarigione».

NON SOLO DANNO DIRETTO
Che un'infezione virale -in particolar modo la malattia Covid-19- possa portare ad un danno al cuore non è certo una novità. Il virus infatti, infettando le cellule cardiache, può portare ad un danneggiamento diretto del cuore. Questo però non è sufficiente a spiegare la persistenza dei sintomi a mesi di distanza, ovvero quando il virus non è più presente da tempo. Partendo da questo quesito i ricercatori di Humanitas hanno analizzato alcuni pazienti ricoverati per Covid-19 concentrandosi in particolare su chi, a distanza di 6 mesi dalle dimissioni, mostrava ancora alla risonanza magnetica un danno cardiaco.
LO STUDIO
«Analizzando i campioni di questi pazienti abbiamo scoperto un’attivazione anomala di alcuni tipi di globuli bianchi –le cellule B, quelle deputate a produrre gli anticorpi– e abbiamo identificato la presenza di alcuni auto-anticorpi che riconoscono i tessuti del cuore. Come abbiamo poi dimostrato in uno studio di laboratorio, questi auto-anticorpi sono assenti nei pazienti ricoverati ma senza danni cardiaci e sono sufficienti a scatenare una reazione autoimmune contro il cuore» spiegano i ricercatori Marco Cremonesi e Arianna Felicetta, primi autori dello studio su Circulation. «I dati dello studio, seppur indicativi e derivati da un piccolo numero di pazienti, supportano la nostra ipotesi di partenza – afferma il prof. Marinos Kallikourdis, capo del Laboratorio di Immunità Adattiva di Humanitas e docente Humanitas University-: il danno cardiaco è compatibile con un meccanismo chiamato perdita di tolleranza immunologica».
IL MECCANISMO
Secondo gli autori alcune cellule immunitarie fatte per riconoscere i nostri tessuti vengano accidentalmente stimolate dall’incontro con il virus e spegnendo “il freno” che, in condizioni normali, impedisce loro di orchestrare un’aggressione contro il nostro organismo. «La perdita di tolleranza immunologica potrebbe spiegare anche la varietà dei sintomi del Long-Covid: benché si tratti di un meccanismo singolo, può infatti produrre conseguenze cliniche molto diverse tra loro, a seconda del tipo di specificità delle cellule immunitarie che perdono la tolleranza dopo l’incontro accidentale con SARS-CoV-2 -continua Kallikourdis-. Ciò significa che lo stesso meccanismo potrebbe spiegare altre reazioni autoimmuni, ad esempio contro il tessuto nervoso, tipiche del Long-Covid». Se ulteriormente confermati, i risultati ottenuti contribuiranno a dimostrare il ruolo determinante dell’immunità nelle malattie cardiache e l’efficacia dimostrata da alcuni farmaci immunomodulanti nel trattamento dei pazienti con Covid-19.
